discesa del flumineddu gole

5 CHILOMETRI parte 3

Discesa del Flumineddu

Il mio ricordo di questo tratto mi impensierisce: gli spazi ristretti, l’attenzione costante a non mettere un piede nello scivoloso rivolo centrale per accedere all’armo dove attrezzare la calata. E poi la funambolica discesa nel canotto, la traversata da fare questa volta anche con lo zaino in grembo e infine l’uscita nella spiaggia finale cercando di bagnarsi il meno possibile.

Arrivo all’armo e mi allongio per preparare tutta la sequenza di calata. Infilata la corda, attacco un paio di metri sotto a me il canotto e alla stessa mia altezza lo zaino. Oltre al discensore monto anche un Machard, che in questo caso mi funzionerà da bloccante: avrò bisogno di entrambe le mani libere quando arrivato all’acqua dovrò sistemare tutto. Mi porto con in piedi sul bordo strapiombante e viscido e mi butto indietro con il peso. La parete lambita dal misero ruscello è infestata di alghe e per non far scivolare l’appoggio dei piedi, questi non devono scendere al di sotto del bacino ma rimanere perfettamente ortogonali all’appoggio.

Calata con doccia

Appena il mio peso strizza la corda bagnata nel discensore, questo la spreme ed è come avere un rubinetto aperto sulla testa. Puzza un po’ di lago ma penso meno del mio sudore, e comunque rinfresca. Pochi secondi e arrivo all’altezza giusta. Mi appendo sul nodo autobloccante e sistemo il canotto nella posizione che mi risulterà più comoda per entrarci. Poi continuo a scendere ed insieme allo zaino entro a sedere nel piccolo galleggiante che se ne sta fermo al suo posto. Mi aggiusto il bagaglio in grembo, tra le gambe e l’addome. Il catino di seduta ha molta acqua. La corda infatti, anche se non più spremuta dal discensore, intercetta ora una parte del piccolo rivolo della cascata e lo dirotta dentro il canotto.

discesa flumineddu calaya lago nero
Alla fine della calata nel Lago nero. Sulla sinistra l’evidente striscia scura e scivolosa di alghe.

Le gambe e il sedere sono inzuppati. In aggiunta la posizione risulta da subito molto faticosa. Con la schiena non mi posso adagiare sul bordo per non ribaltarmi e per bilanciare il peso cerco di spostare lo zaino il più possibile verso i piedi. Ma il suo ingombro, nello spazio ristretto mi spinge comunque indietro e fatico un sacco con gli addominali per mantenere l’assetto. Devo ora sganciare tutto a parte la sagola, con la quale Ludovico recupererà il canotto. Libero dalla corda di calata, remo meglio che posso con le mani e arrivo ad un punto dove riesco ad uscire dal canotto mettendo solo i piedi in acqua. I minuti di lavoro isometrico sugli addominali me li fanno sentire tremanti. Eppure non mi sembrava di essere fuori forma…
Si cala Ludovico e quando è a poco più di un metro dall’acqua si affida al Machard e iniza a recuperare la sagola del canotto. Entra dentro senza intoppi col suo zaino e comincia a recuperare la corda. Con quella vengono giù litri d’acqua e la sua doccia è più abbondante della mia.
Mentre rema lo sento che impreca a mezza voce ridacchiando. Se indovino il mio orgoglio ne esce sollevato.
“Che borbotti?” gli chiedo
“Mi schiantano gli addominali”
“Ah bè…”
In breve siamo tutti e due sulla spiaggia. Sono le 18, un’ora dall’inizio del toboga: tutto bene e senza intoppi.

discesa flumineddu lago nero
Ludovico alla fine della calata del Lago nero

Segue un lungo e facile lago a “L” e poi il lago quasi sotterraneo, formato da una nuova ansa del fiume e da una parete molto strapiombante di fronte. L’ambiente luminoso, l’acqua trasparente e la brevissima calata per accedervi rendono il posto più accogliente del Lago nero e una successiva spiaggetta inviterebbe al bivacco ma abbiamo ancora oltre 2 ore di luce e anche se la stanchezza comincia a farsi sentire procediamo.
L’attraversamento di questo lago è possibile con un facile traverso sulle rocce ma gli zaini devono essere traghettati. Dopo un breve tratto aperto c’è da superare un salto armato ma che noi passiamo in libera. Ora il canyon stringe di nuovo con un paio di lunghi laghi che vediamo un decina di metri più in basso. Invece di calarci arrampichiamo su facili rocce gradonate a sinistra che ci permettono di aggirare la strettoia e scendere di nuovo nel fondo un centinaio di metri più avanti. Qui l’ambiente è molto aperto e decidiamo di fermarci.
Ore 19,45: nove ore dalla partenza.

discesa flumineddu campo1
L’accogliente spazio del campo 1

Campo 1

L’umore è alto, rispetto al 2006 abbiamo stracciato la tabella di marcia. Ma non è un paragone da fare. Con un gruppo di 6 tutto diventa incredibilmente più lungo e laborioso. In ogni caso siamo stanchi, ad ogni lago c’è tanto lavoro e la gestione degli zaini a momenti è snervante.
A pochi metri da dove ci piazziamo c’è una bella pozza con un pò di scorrimento. Ci diamo una lavata e indossare vestiti puliti dà una sensazione di sollievo immediata. Mentre Ludovico accende il fornello pirolitico io mi metto al lavoro col filtro e riempio i 4,5l di borracce che abbiamo.
Abbiamo deciso di portarci qualcosa da cucinare, cose liofilizzate semplici e leggere. Coccole serali per le imprese diurne, mollezze crepuscolari dopo i rigori giornalieri.
Come sempre all’aperto non è facile lasciarsi portar via dal sonno. Nonostante la stanchezza gli occhi se ne stanno incollati al soffitto di stelle, una temperatura perfetta accarezza il corpo, il piacere di essere qui eccita.
Infine il doppio materassino, i lievi rumori del bosco, le lunghe ore del giorno trascorso fanno il loro lavoro, ed è mattino.
Sistemiamo gli zaini con calma, fatti due conti ci dovrebbe avanzare del tempo. Da quello che ricordo abbiamo la maggior parte delle difficoltà alle spalle.
Questo è il punto di partenza più a monte dei torrentisti per la discesa con le mute, niente a che vedere con la discesa integrale del Flumineddu che stiamo facendo noi.
Siamo infatti nell’unico tratto in cui le pareti del canyon allentano la loro severa verticalità, lasciando posto, sia in riva destra che sinistra, a fianchi più morbidi in cui brevi risalti rocciosi si alternano a terrazzi fluviali boscosi e a ghiaioni, dai quali non è difficile entrare nell’alveo con circa un’ora di cammino. Inoltre da ora in avanti l’acqua, seppur sparendo per alcuni tratti, sarà tuttavia molto più presente e con pozze più profonde. Nonostante questo non incontreremo nessun torrentista e così come fummo nella più completa solitudine 16 anni fa, così lo risaremo oggi.

L’obiettivo della giornata è arrivare alla via di arrampicata nelle prime ore del pomeriggio, quando il sole comincerà a sparirle dietro, ma non troppo tardi per avere il tempo di chiuderla con la luce.
Alle 9,30 siamo in marcia e il traghettamento di due lunghi laghi in sequenza è semplice. I due successivi laghi pensili decidiamo di bypassarli da destra, strategia già usata nel 2006.
Mi arrampico senza zaino per qualche metro su una paretina verticale e ben appigliata fino ad arrivare al bosco soprastante. Tiro su il mio zaino poi assicuro Ludovico che si arrampica col suo zaino e il canotto in spalla. Arrivato sul bordo le manovre più complicare sono quelle per evitare di bucarlo con i rovi della macchia.

arrampicata bordo
Arrampicata con zaino e canotto. A sinistra la fine del corridoio con i due laghi attraversati, a destra il primo dei due laghi pensili

Percorriamo alcune decine di metri in un terrazzo boscoso, fin dove riusciamo a rientrare agevolmente nel greto del torrente. Qui passammo la seconda notte nel 2006. Di nuovo scomodi e di nuovo incerti di cosa avremmo trovato davanti, ci fermammo per evitare di essere sorpresi dal buio in un luogo che poteva essere ancor meno comodo.
Da qui in avanti una lunga serie di piccoli laghetti, stretti e difficilmente traghettabili se non a rischio di strappare il nostro piccolo galleggiante, costringe a continue piccole arrampicate e traversi, piccoli guadi a piedi e alcuni col canotto, fino ad arrivare alla fine di questa sequenza alle 12,15.

discesa flumineddu traghettamento zaino
Uno dei rari traghettamenti comodi dell’ultima sequenza

Sa Giuntura

Siamo a Sa Giuntura, il posto dove attacca la discesa la maggior parte dei torrentisti che scendono il Flumineddu per farne la sua parte più famosa e frequentata e dove invece sono arrivati al termine delle difficoltà quelli che percorrono la parallela Codula Orbisi. Questa, meno lunga e spettacolare del Flumineddu ma tuttavia bellissima, gli corre quasi parallela fino a gettarvisi qui da destra.
In questo crocevia di acque anche il breve Rio Titione, quasi perennemente secco e proveniente invece dalla sponda sinistra, entra nella Hodula Manna. L’incontro dei tre impluvi crea una vasta zona molto aperta in cui fantastiche formazioni geologiche si mostrano in tutto il loro estro. Dopo un tratto di facile camminata, un grande lago verde contornato da ampie pareti sbarra di nuovo la strada. Senza dover utilizzare la nostra attrezzatura è possibile aggirarlo aiutandosi con due tratti di catene e corde fisse presenti.

lago verde
Traverso attorno al lago verde

Quasi fuori

Ci fermiamo a mangiare un boccone e a filtrare acqua per riempire le borracce. Fino a stasera non avremo poi modo di attingere a nessuna pozza.
Proseguiamo la discesa della gola che larga e luminosa ha fatto scomparire il torrente sotto chissà quanti metri di ciottoli, fino ad arrivare ad una nuova strettoia che preannuncia il punto più sensazionale di tutta la traversata.
Continuando lungo l’alveo una prima discesa porterebbe dentro un corridoio che conduce a ritrovare l’acqua. Questa, non appena riapparsa, trapassa la montagna creando un lago sotterraneo, un sifone scavato in un fronte della montagna che il torrente non è riusciuto ad aggirare o a intagliare ma che ha sbrigativamente sfondato. Il liquido tuttavia non si è risparmiato nella sua opera, erodendo roccia a profusione, come se da lì dovesse passare non un rigagnolo ma un treno.
Il cunicolo è ampio e di un bianco splendente, per nulla claustrofobico ed anzi invitante non solo a farsi solo attraversare ma ad accogliere un tuffo nelle fresche e profonde acque, qui protette da sole e evaporazione. La bella luce all’interno è dovuta anche al suo soffitto cesellato da finestre ed aperture. Questa filigrana scolpita nel calcare è dovuta probabilmente alle cascate che durante le piogge precipitano qui da quasi mille metri di parete sovrastante, quella Punta Cocuttos che in riva destra domina tutto il tratto finale delle gole.

discesa Flumineddu lago sotterraneo
Lo stupendo lago sifone

Passaggi segreti

I 30 metri di questo incredibile lago sifone terminano con una cascata che sancisce la fine delle difficoltà. Alla base di questa riescono ad arrivare anche gli escursionisti più intraprendenti che risalgono dall’ingresso turistico con meno di due ore di trekking.
Un’alternativa all’attraversamento del lago a nuoto o in canotto, è un facile passaggio attrezzato con catene sul fianco destro, al di sopra della sequenza di finestre che lo illuminano. Un matroneo che regala una prospettiva dominante del luogo.
Ma noi non usiamo nessuno di questi sistemi. La via di arrampicata verso la quale siamo diretti è almeno 150 metri più in alto dell’alveo e scendere da quei passaggi rimanendo nel fondo del canyon ci abbasserebbe e allontanerebbe inutilmente dal suo attacco.
Proseguiamo allora sul fianco sinistro della gola, inizialmente senza prendere quota ma il letto del torrente continua a scendere per la sua strada e presto lo vediamo già molto in basso sotto di noi. Quando infine la nostra esile traccia comincia a salire prima decisa e poi ripida su roccette, quasi si perde il senso di dove sia rimasto il Flumineddu. Il tracciato che seguiamo con gli ultimi passi di facile arrampicata ci deposita su una sorta di terrazzo dove sembra che la marcia si debba interrompere.
Ma dietro un angolo di questo giardino pensile si apre la sorpresa di un passaggio segreto.
Questo, attraverso un arco di roccia, porta ad una parete liscia che diviene sempre più verticale e che, con l’aiuto di uno spezzone di corda e una poco affidabile scala fustes, va seguita in traverso superando un angolo con un cambio di versante. Ci ritroviamo così in una sorta di largo corridoio, costretto da alte falesie. Da come ci siamo arrivati e dalla morfologia del luogo si intuisce che dietro l’alta parete alla nostra destra c’è il fianco della montagna, l’argine sinistro della Gola di Gorropu che sarà giù, almeno cento metri più in basso.

passaggio segreto
Il passaggio segreto

Quello che vediamo poco più avanti ci conferma che quello appena passato è, o meglio era, davvero un passaggio segreto. Chiari resti nuragici se ne stanno infatti accatastati in un riparo sottoroccia, come una minuscola Tiscali. Non possiamo fare a meno di pensare con Ludovico agli isediamenti rupestri Anasazi in Utah e Arizona.
Il corridoio è ricco di grandi lecci e prosegue qualche decina di metri fino ad arrivare ad un grande canalone ghiaioso. Questo in basso conduce al fondo della gola ma noi lo risaliamo brevemente fino a trovare l’attacco della via.
Sono le 14,15 e attenderemo le15,30 per iniziare l’arrampicata, quando grazie all’esposizione est, la parete sarà quasi completamente all’ombra. L’arrampicata terminerà alle 19 ma questa è un’altra storia.

attacco los compadres
Attacco della via “Los compadres”

Verso sera

In cima alla via, conclusa con grande soddisfazione e difficoltà abbordabili, siamo 400 metri più alti del fondo del canyon e le anse di Gorropu si snodano in basso dominate sull’altro fianco dalle stupefacenti placconate occidentali di Punta Cocuttos.
Senza toglierci gli imbrachi camminiamo costeggiando lungamente il bordo della parete su vaghe tracce di sentiero fino a reintercettare la testa del canalone. Cominciamo a discenderlo e cominciamo anche ad avere sete. I quasi tre litri portati in parete sono finiti, ma agli zaini lasciati alla base della via abbiamo un litro e un paio di succhi di frutta.
Verso le 20 siamo agli zaini e ci idratiamo con calma prima di caricarci di nuovo i fardelli e proseguire la discesa. A seconda della granulometria del ghiaione scendiamo alternativamente per questo oppure dove i sassi troppo grossi non permettono una discesa fluida e “sciata” sul pietrisco, andiamo nel bordo boscoso e piu stabile.
Poco prima di arrivare sul fondo vediamo a poca distanza un animale acciambellato a terra. Ci avviciniamo piano e vediamo che è un piccolo di muflone. Capiamo subito che sta male. Non fugge vedendoci e la testa è riversa mollemente su un fianco. Siamo a pochi metri e non vogliamo disturbare il suo trapasso, solitario e doloroso. Facciamo per tornare sui nostri passi e in quel momento la bestiola fa un supremo sforzo per cercare di mettersi in piedi ma crolla immediatamente rotolando alcuni metri lungo il ghiaione. Rimane come la gravità l’ha depositata e respira ancora. Gli animali non possono decidere di mettere fine alle loro sofferenze e la sua lotta continuerà ancora per chissà quanto.
Arrivati in fondo andiamo, ormai quasi al buio, alla ricerca di una pozza con acqua dignitosa da poter filtrare. Il calcare infatti in questo tratto e fino all’uscita delle gole, di nuovo nasconde lo scorrimento, riprendendo nelle sue profondità ogni goccia di liquido che non sia accolta da conche di roccia compatta. Siamo stanchi e gli invasi sono più o meno tutti uguali: pozze di uno o due metri quadrati con quattro dita d’acqua marrone.

filtro
Filtraggio acqua da una misera pozza

Mentre uno lavora col filtro l’altro si dà una sciacquata.
La sete è ora tanta e basta aggiungere un paio di pasticche di sali per ogni bottiglia che quell’acqua al sapore di lago sembra una bibita piacevole.

Ci piazziamo sotto un bel blocco e alle 22.00 facciamo cena. Prima di dormire dobbiamo lavorare un bel po’ per ricavare due strisce di pavimento pianeggianti e senza troppi spigoli sulle schiene. Alla fine il lavoro risulta fatto e consegnato alle regole dell’arte come il buon sonno certificherà meglio della livella.

campo 2
Campo 2

Alla fine

Al mattino ci svegliamo sentendo lievi scalpitii. Senza alzarsi dai giacigli ci godiamo per una buona mezz’ora le evoluzioni spericolate di un branco di mufloni a poco più di cento metri da noi. Sembra facciano di tutto per cercarsi le foglie di leccio più tenere nei terrazzamenti più esposti e pericolosi.
Su due zampe si appoggiano a esili rami sul bordo della falesia protesi verso il vuoto, totalmente incuranti dei metri sotto di loro. I piccoli scorrazzano e scimmiottano le madri, nessun maschio cornuto è nel gruppo.
All’improvviso, senza per noi apparente motivo, partono in una corsa sfrenata sulle placconate verso il fondo della gola, come a venirci incontro. Scattiamo anche noi, col massimo dell’agilità consentita da due sole gambe da poco sveglie, piedi scalzi e due giorni di fatiche, per andar loro incontro e capire dove vanno. Scavalcati però i due grandi massi che ci dividevano dalla pozza dove immaginavamo fossero scesi, di loro non c’è più traccia. Fantasmi scomparsi nel nulla, spericolati spiriti invisibili.

mufloni
Mufloni

Abbiamo ancor meno fretta del giorno prima, ci è avanzato quasi un intero giorno. Ma va bene così, la giornata è caldissima e una cappa di nubi rende l’aria carica di umidità.
Poco più di un’ora ci divide dall’ingresso turistico a valle. Filtriamo un po’ d’acqua, solo quella necessaria per diluire il latte condensato ed il caffè solubile: a breve troveremo risorgive di acqua buona.
Fatta la colazione prepariamo gli zaini e cominciamo la gimcana tra i blocchi giganteschi dell’ultimo tratto delle gole. Sopra le nostre teste sappiamo esserci vette 600 metri più in alto ma la vista sulle pareti riesce a correre solo per due o trecento metri lungo vie d’arrampicata dal grado improponibile, poi si perde in pance e strapiombi. Dove questi sono più accentuati, grandi stalattiti gocciolano acqua in abbondanza.

gocciolamento
Gocciolamento

Nel punto più stretto le pareti distano pochi metri l’una dall’altra e i meandri si susseguono stretti, accavallando scenari e giochi di luce.
Dietro un masso appaiono le prime due persone: una coppia dell’est ci riporta al mondo degli uomini, prima di incontrare il custode di turno all’ingresso delle gole.
Il ticket è dovuto anche da chi esce, non importa se ti senti diverso dalle masse in scarpe da ginnastica che stanno per arrivare.
La discesa del Flumineddu è finita e l’ultima ora fino al furgone la percorriamo sul facile sentiero che sta portando i turisti da Sa Barva. Aumentano sempre di più, e così la nostra distanza da quei 5 chilometri.