Presentazione nuovo calendario. Parte 2

Continuiamo la rassegna delle destinazioni del calendario 2020-2021 che avrà, come la stagione appena trascorsa, il tema conduttore degli eremi. I luoghi più suggestivi e preferibilmente poco conosciuti in cui l’uomo si è ritirato alla ricerca di silenzio, contemplazione e preghiera, ci condurranno a scoperte magnifiche.Si direbbe proprio, infatti, che gli antichi asceti per la loro elevazione spirituale confidassero anche nell’aiuto della bellezza esteriore dei luoghi prescelti. Merita però in questa sede approfondire alcuni aspetti storici.
L’eremitismo, pur connotato dagli approcci più diversi, tuttavia presenta, specialmente nelle sue prime manifestazioni, come suo tratto distintivo un grande rigore: la mortificazione delle carni e le estreme privazioni terrene sono infatti i connotati più evidenti e comunemente noti di questo fenomeno.
Gli eremiti dell’alto Medioevo si ispiravano infatti ai primi anacoreti che nel deserto della Tebaide cominciarono ad appartarsi vivendo in condizioni estreme, a partire dal primo eremita cristiano, Paolo di Tebe, morto nel 250. Questo approccio alla preghiera e al rivivere le esperienze di Cristo nei quaranta giorni nel deserto, sfiorava talvolta la follia: basti pensare per esempio agli stiliti che si ritiravano addirittura in cima ad una colonna. Anche tralasciando queste forme estreme, la volontà ed il bisogno di allontanarsi dal mondo con le sue distrazioni, ha portato a forme di isolamento delle quali non è facile dare una lettura univoca anche se genericamente riconducibile ad una sincera ricerca di spiritualità pura e rinnovata. Se spesso questa può essere interpretata come rifiuto di alcuni aspetti di deriva temporale nelle quali la Chiesa si trovava periodicamente impastoiata, questa d’altra parte nutriva esigenze di normalizzazione e controllo per evitare il proliferare di fenomeni sia numericamente che qualitativamente incontrollabili.

Regola di Sant’Agostino

La Toscana in questo senso ci testimonia un passaggio storico fondamentale. Nel 1243 Papa Innocenzo IV promulgò una bolla con la quale invitava le numerose comunità cenobitiche della Tuscia a riunirsi sotto la regola di Sant’Agostino. Nel 1256, sotto il pontificato di Alessandro IV ci fu poi la Magna Unio che pur con molti limiti, voleva incorporare anche altri ordini sotto tale regola, in particolare i Guglielmiti.
Le vicende dell’ordine e la discendenza da Sant’Agostino celano un piccolo giallo. Il vincolo speciale dei suoi figli spirituali con il santo vescovo di Ippona, fu infatti consolidato da un episodio particolare: il II° Concilio di Lione, riunito nel 1274, interpretò una norma del IV concilio Lateranense del 1215 come proibizione di fondare nuovi ordini religiosi. Questa decisione coinvolse molti ordini fondati tra un concilio e l’altro, perché soppressi o aggregati ad un ordine preesistente. La norma poteva coinvolgere anche l’Ordine di S. Agostino, però gli Agostiniani non ebbero dubbi nel riferirsi direttamente a Sant’ Agostino come fondatore. Si appellarono così ad una continuità, in realtà inesistente, della vita monastica da egli fondata nel nord Africa tra la fine del IV e l’inizio del V secolo . In questo modo, si rafforzò maggiormente il vincolo con il Santo, fino a considerarlo non solo come Padre e Maestro, ma anche l’autentico fondatore dell’Ordine.
In ogni caso questo è il motivo per cui molti eremi della nostra provincia appartengono a tale ordine. In particolare Lecceto, Camerata, Montespecchio, Santa Lucia. Del primo abbiamo trattato nel precedente articolo e vediamo adesso gli altri.

Camerata

Il convento di Pietra Rondinaia, o di San Pietro a Camerata, è costruito poco lontano da Monticiano, su un piccolo altipiano che il monte delle Corneta. Il convento esisteva sicuramente già nel 1238 perché in tale anno la Comunità di Monticiano donò a Frate Ildebrando e per lui al romitorio di S. Pietro in Pietra Rondinaia, due pezzi di terra. Del complesso rimane oggi la chiesa, che porta il nome di S. Pietro in Vincoli, con un piccolo annesso.
La notorietà dell’eremo si deve ad Antonio Patrizi che a Monticiano morì nel 1311. Le storie riguardo la vita miracolosa di questo frate non sono concordi, tuttavia benché il suo culto fosse riconosciuto formalmente solo nel 1804, tuttavia già pochi decenni dopo la sua morte fu fondata la Compagnia del Beato Antonio. La confraternita tutt’oggi organizza la processione che parte dal paese e si conclude con la celebrazione della Messa all’eremo il martedì dopo Pasqua. L’evento, in cui è mescolato sacro e profano, è molto sentito e partecipato dal popolo di Monticiano che lo chiama confidenzialmente “sbraccettata”.
Il nostro giro si svolge nei bei boschi che circondano l’eremo, in una zona di grande pregio naturalistico, tra le tre Riserve Naturali della Pietra, Alto Merse e Farma. Un anello facile alla portata di tutti.

Montespecchio

I resti di questo eremo, una delle testimonianze architettoniche più affascinanti della nostra provincia, sono comunemente chiamati Conventaccio. Il carattere fiero e la storia travagliata di questo sito sembrano proprio condensarsi nel nome conquistato sul campo.
I misteri nascono fin dalle origini, con una inspiegabile originaria dedicazione a Santa Maria di Rocca Amadour, un santuario della Linguadoca. Il nome fu poi Santa Maria a Montespecchio, titolo riconosciuto dal Papa Alessandro IV nel 1255.
La sua storia si intreccia poi con Lecceto: questo intorno al 1230 sappiamo essersi unito a Montespecchio ma due secoli dopo avverrà l’opposto. Il luogo infatti aveva allora già cominciato il suo lento declino che terminerà nel 1687, anno del definitivo abbandono. L’ubicazione “in valle orrida, in mezzo a macchia cassa e spessa”, così come descritta in un documento del 1650, avrà contribuito non poco ad una disperata agonia.
Tuttavia ancora oggi le imponenti mura perimetrali della bella chiesa in stile pisano contrastano miracolosamente la gravità ed ogni volta che ci torno mi auguro di ritrovarle come le ho lasciate.
Le suggestioni di quei resti richiamano quasi templi orientali avvolti dalla foresta e senz’altro il contesto naturalistico rende l’anello intorno a questa emergenza un appuntamento irrinunciabile che non a caso ripropongo periodicamente nei calendari.
Un anello dai molti interessi si svolgerà intorno a questa emergenza principale.
Innanzitutto ci troviamo all’interno della Riserva Provinciale del Basso Merse, la cui connotazione naturalistica principale sono i numerosi torrenti che tagliano le rocce di antichi fondali marini. Il tutto immerso in fittissima macchia mediterranea in cui prosperano i grandi mammiferi della nostra provincia.
Primarie sono anche le suggestioni storico-sociali di tutta la zona, grazie soprattutto all’attività estrattiva della zona. Cominciando dalle miniere di lignite che, attive fino agli anni ‘50 del secolo scorso, hanno connotato fortemente la vita di Murlo. Il bellissimo “sentiero delle miniere” ci permette ancora oggi di goderci una magnifica passeggiata nella valle del Torrente Crevole lungo quella che fu la ferrovia a scartamento ridotto per il trasporto del materiale fino alla linea Siena-Grosseto. Ancora le miniere di rame, che sebbene con minor fortuna, hanno tuttavia fatto la loro comparsa negli angoli più incredibili di questi boschi, con speranze di fortune rivelatesi poi piuttosto esigue. Infine l’attività estrattiva legata al “Marmo nero di Vallerano”. Questa roccia, in realtà non un marmo ma appartenente al gruppo delle ofioliti, ha fatto la storia in primis del Duomo di Siena e proprio in queste colline si trova la storica cava da cui veniva estratto.
Non bisogna poi dimenticare che tutto il territorio della Riserva e anche ben oltre i suoi confini è una delle parti della nostra provincia più interessanti dal punto di vista archeologico, con l’eccellenza del museo etrusco presente a Murlo e del superbo lavoro di scavi attivo da decenni nell’insediamento di Poggio Civitate.

Santa Lucia

Di questo bell’eremo situato nella gola del Torrente Rosia, tra Montarrenti e il Ponte della Pia, cominciamo subito dicendo che non è certa la data di fondazione. Forse la ricostruzione più accreditata è quella che pone la sua nascita tra il 1170 e il 1190. Infatti in un documento del maggio 1200 si parla di una donazione fatta all’eremita Bonacorso, già fondatore del convento.
Sappiamo che inizialmente furono edificati una piccola chiesa e alloggi primitivi, addirittura forse grotte scavate, per accogliere i primi seguaci del fondatore. L’eremo ebbe subito molta fortuna se già a metà del 1200 fu deciso di erigere una nuova chiesa intitolata a Sant’Antonio e Santa Lucia, il Comune di Siena faceva elargizioni e i Vescovi di Siena ed Arezzo concedevano indulgenze a chi faceva elemosina all’eremo. A questo periodo risale anche, come per la maggior parte degli eremi senesi e toscani, la sottomissione alla Regola Agostiniana.
Tuttavia dal XVI secolo cominciò il declino. Per almeno 2 secoli il complesso è stato adibito a una casa colonica, poi definitivamente abbandonata a metà del ‘900.
Quello che rimane e i documenti testimoniano un insediamento piuttosto importante, con uno stile costruttivo bicromo in cui il bianco è ottenuto dal calcare locale, mentre le balze di altro colore sono ottenute dai più economici mattoni, senza ricorso al più pregiato e costoso marmo nero.
Le possibilità escursionistiche intorno al sito sono molteplici, per i numerosi aspetti di interesse che ci sono in zona.
Il Torrente Rosia è confine naturale tra la calcarea Montagnola Senese dominata dal Monte Maggio e i rilievi prevalentemente costituiti di verrucano della dorsale Monticiano-Roccastrada.
Dalle numerose cave circostanti di marmo della Montagnola, in maggioranza oggi abbandonate, sono stati estratti i bianchi, i grigi e soprattutto il giallo broccatello, utilizzati nel Duomo di Siena. La natura calcarea di questo rilievo offre numerose possibilità di approcci avventurosi all’ambiente, dall’arrampicata alla speleologia, passando per facili discese di gole.
La storia ci parla dell’importanza di queste terre con il magnifico Castello di Montarrenti oggi in carico alla Provincia e in un incomprensibile periodo di non utilizzo. La fortificazione controlla l’ingresso della stretta valle insieme al dirimpettaio Castello di Spannocchia. In disparte di pochi chilometri poi, domina i boschi sconfinati delle gole del Merse il fascinoso Castiglion Balzetti, il Castiglion Che Dio Sol Sa, il cui soprannome dice tutto. Aggiungiamo, sulle pendici di queste alture, la bellezza di alcuni paesi ingiustamente poco conosciuti dei quali vale la pena ricordare Torri con il suo stupendo chiostro e Tonni, eroico paese che sopravvive alle lusinghe del XXI secolo.
Anche la protostoria non è da meno. Infatti i rilievi che affiancano queste valli, naturali vie di comunicazione dei nostri antenati, sono da loro stati usati come punti di osservazione privilegiati dei passaggi che avvenivano ai loro piedi e le testimonianze dei numerosi castellieri presenti ne sono un indizio pur nella loro incerta ed enigmatica origine.
Il tutto, come sempre intorno a casa nostra, ovviamente immerso in una natura ricca e incontaminata.