Presentazione nuovo calendario. Parte 3

Prosegue la rassegna delle destinazioni del calendario 2020-2021 dedicata ad un ricchissimo ciclo tematico, avviato nella stagione 2019-2020 e che avrà il tema conduttore degli eremi.
In questo appuntamento vengono presentati due siti che rappresentano egregiamente quella che è la fase nascente di ogni luogo eremitico. Di posti come questi ne esistono molte migliaia nelle terre che sono state testimoni della diffusione del cristianesimo.

I grandi monasteri

Alcuni di essi sono divenuti centri più o meno importanti di ritiro e preghiera sopravvissuti al tempo. Le loro mura sono state restaurate e modificate e la loro anima ha continuato a palpitare nei secoli, portando fino a noi testimonianze monumentali e luoghi di culto e pellegrinaggio che ancora nel terzo millennio godono di ottima salute. Dove ci sono state queste condizioni favorevoli, i monaci non sono mai mancati, i denari sono sempre arrivati e i fedeli hanno continuato a testimoniare la loro devozione. Qui gli originari insediamenti eremitici, spesso una capanna o una grotta, si sono poco a poco sviluppati e allargati. Spesso sono diventate delle potenze economiche o dei centri di attrazione turistica.

Gli eremi sperduti

Ma per ogni eremo che ha superato questa dura prova millenaria, ce ne sono centinaia la cui memoria si è persa. Inghiottiti dalla vegetazione o dalle frane, di qualcuno non sapremo mai l’esistenza; di altri si conosce solo il nome, rimasto magari nei toponimi o nei documenti; di altri, appena più fortunati, sono rimaste poche labili tracce. Queste povere testimonianze possono spesso essere ricche di fascino, nascoste in luoghi suggestivi e poco conosciuti. Per quanto prive di ogni ambizione e anzi proprio per questo, qui è facile provare ad immaginare e rivivere lo spirito originario con cui l’uomo si è ritirato alla ricerca di silenzio, contemplazione e preghiera. Luoghi che, non adulterati da manipolazioni posteriori, hanno mantenuto quel loro carattere primitivo e coraggioso, rude e sincero che poteva dirsi grandemente vicino al deserto della Tebaide, il ritiro dei primi eremiti cristiani nel III sec.
La natura è rimasta padrona, in questi recessi delle nostre colline e ci regalerà delle giornate memorabili, durante dei trekking con una nota avventurosa abbastanza marcata, irrinunciabile in questi contesti.
Entrambi gli appuntamenti presentati qua sotto sono già comparsi in alcuni calendari di 43 PARALLELO SIENA, ma come tutti gli appuntamenti meritevoli, vengono periodicamente riproposti, talvolta con piccoli aggiustamenti.

EREMO DELLA FUSOLA

Siamo nella zona delle Ville di Corsano, nelle alture che separano la valle del Fiume Merse dalla Val d’Arbia. Questo morbido spartiacque presenta caratteri e aspetti molto diversi nei due versanti. Il lato est che guarda verso la Val d’Arbia, si presenta profondamente addomesticato dall’uomo, con grandi porzioni conquistate dall’agricoltura, con pochi lembi di bosco ad intervallare appezzamenti coltivati.
Il carattere cambia nelle pendici rivolte ad ovest che dominano la Merse, dove ben più presente è il terreno boscato e dove è evidente il predominio della natura. Questa diversità è attribuibile in larga misura alla diversa geologia e morfologia: se sul versante orientale abbiamo le morbide argille, qui le ruvide brecce calcaree si presentano meno ospitali e creano incisioni più selvagge.
Il nostro giro saggerà entrambe le facce di queste terre per andare a cercare le labili testimonianze del Beato Franco Lippi e del suo eremo della Fusola.
Dalla biografia di Gregorio Lombardelli del 1590, sappiamo che “per un certo periodo fu sfrenato, dissoluto, senza timor di Dio…non praticava se non con giocatori, bestemmiatori, concubinatori, tavernieri, dissipatori dell’altrui e delle proprie sostanze. Aveva lasciato lavoro per giuochi, per godere all’osterie, per andar di notte a guastar orti…Non entrava in chiesa per mesi e anni…Non era punto differente dai bruti animali”.
Alla morte della madre, “sopraffatta per grave passion d’animo…Franco se ne rallegra, gioisce e fa festa, dicendo che più non avrebbe sentito la mala vecchia e vendendo le poche cose che la madre aveva conservato”.

La conversione

Nel 1229 si arruolò nella guerra contro Orvieto e “ se prima era dissoluto, allora diventò sfrenato…Una notte giocando a dadi e avendo perduto le vestimenta e i denari e non sapendo più che giuocarsi, pose le mani all’occhi e disse: anche questi mi vo’ giuocare!…Subito messe tal dolore e cecità ne gli occhi di Franco e cominciò a piangere e battersi e disciplinarsi”. A questo fatto seguì il pellegrinaggio a Santigo de Compostela dove riacquistò la vista. Si dedicò a elemosine e alla vita eremitica. Questa fu dapprima condotta “in una picciola stanzina nella rena, presso San Marco”.
La disciplinaSi fece fare una catena la quale si cinse al corpo sopra a la nuda carne…Si messe anche un gravissimo giacco, il quale egli portava a carne ignuda. Fece anco fare mezza testa di ferro con molti cerchi in modo di croce, la quale teneva giorno e notte in testa”.

Il romitorio di Grotti

Se n’andò alla villa di Grotti, ricercando ivi intorno luogo rimoto e atto per suo stare. Gliene piacque uno lontano dalla villa quasi un miglio e mezzo in una valle, paese malinconico e in mezzo a bosco foltissimo e asprissimo ove non praticavano altro che lupi e serpi. Quivi di propria mano fabbricò un romitorio di pietre. Di quello n’è un pezzo in piedi di grossa muraglia”. Gli ultimi anni li trascorse al convento del Carmine di Siena, dove è sepolto e dove si trovano alcuni dipinti dedicati al Beato. Un affresco è presente anche nella Pieve di Sant’Innocenza a Piana.

Il trekking

Non è certa l’ubicazione del romitorio presso Grotti. La toponomastica è discordante dai documenti e due presenze della zona si contendono l’originalità del sito. Nel versante occidentale abbiamo il fosso dell’eremo e una piccola costruzione detta il Romitorio. Questo parrebbe testimoniare con certezza a favore del luogo ma un paio di fattori convincono poco. In primo luogo, anche se non determinante, lo scarso fascino che emana; secondariamente il fatto che la costruzione non è certamente duecentesca e non vi sono testimonianze di ripristini successivi in ricordo del beato.
Il secondo sito si trova invece nel versante orientale. Qui, in un residuo lembo di bosco, si trovano gli affascinanti resti del mulino dell’eremo. Il posto è straordinariamente evocativo e richiama senz’altro un isolamento mistico. Si tratta di alcuni ambienti scavati direttamente in un affioramento di calcarenite che ricordano gli eremi rupestri della Tuscia e di Matera. Una croce scolpita in un architrave avvalora l’ipotesi. Personalmente propenderei per identificare in questo il romitorio del Beato Franco e anzi ne potrei essere certo, se non fosse per la presenza dell’altro insediamento che lascia non pochi dubbi.
Il nostro giro comunque, alla portata di tutti, attraverserà ambienti di grande fascino, specialmente lungo il corso del bel torrente con divertenti e facili passaggi e con i resti di un secondo mulino.

BUCA DEL BEATO

Giovanni Benincasa nacque a Montepulciano nel 1375 e già da adolescente vestì l’abito dei Servi di Maria. A 25 anni decise di ritirarsi a vita solitaria e penitente sul Monte Amiata e si costruì una celletta su una rupe della cima del monte presso i Bagni di S. Filippo. In un antico codice di fine ‘400 si dice che si macerava in grandi digiuni, facendosi vedere dai visitatori solo attraverso la finestra ma mai dalle donne.
Si narra che abbia liberato con il segno della Croce, alcune persone tormentate dagli spiriti maligni e gli ammalati guarivano bevendo l’acqua da lui benedetta.
Intorno ai 50 anni, ricevé l’ordine dal Generale dei Servi di recarsi nel monastero di Monticchiello, dove poco dopo morì. In quel momento tutte le campane si misero a suonare da sole.
In questa fase finale della vita di Benincasa, le notizie sono contraddittorie; in effetti il convento dei Servi di Montepulciano, aveva degli appezzamenti di terreno a Monticchiello, ma non un convento.
Il corpo dell’eremita fu deposto nella Chiesa di S. Martino di Monticchiello, di cui oggi non rimane traccia.
I suoi resti venerati dalla popolazione sin dal primo momento della morte, subirono vari trasferimenti, in particolare nel palazzo vescovile di Pienza, per ritornare poi sopra l’altare di S. Antonio abate, nella chiesa di San Leonardo e Cristoforo di Monticchiello. Nel 1829 papa Pio VIII ne confermò il culto.
Pare certo che trascorse alcuni anni del suo eremitaggio in una grotta tra Pienza e Monticchiello. In un paesaggio fatto di dolci colline argillose in cui si apre inaspettata una breve e selvaggia gola.
Pareti calcaree verticali delimitano un vero e proprio canyon, gioiello unico in provincia di Siena. In realtà il torrente come noi lo vediamo scorrere oggi, si è guadagnato il suo tracciato con molti millenni di duro lavoro, sfondando una muraglia rocciosa che si opponeva al suo inesorabile cammino. Sul versante destro della gola, infatti, si apre un interessante sistema carsico che non è altro che il paleo alveo del torrente, che scorreva sotterraneo prima di riuscire a vincere il calcare massiccio. E’ questa la Buca del Beato, grotta molto articolata e con ambienti relativamente facili da raggiungere, che è stata per alcuni anni il ricovero del Beato Giovanni Benincasa.
Il nostro giro, che sarà proposto a primavera inoltrata, prevede sia la visita speleologica, che una parte della discesa torrentistica. Il percorso, individuato e attrezzato alcuni anni fa, è un’esclusiva 43 PARALLELO SIENA presentato periodicamente a quella fascia di clienti in cerca di percorsi originali e molto avventurosi. Pur non richiedendo l’ausilio di attrezzatura specifica, alcuni passaggi sono più tranquillamente affrontabili con l’aiuto di alcuni spezzoni di corda fissa che facilitano la progressione o evitano l’entrata in acqua. Il punto più entusiasmante del percorso si trova circa a metà quando, entrati dall’ingresso superiore della grotta, se ne esce in una parete del canyon proprio di fronte ad una cascata di circa 10 metri. Da lì si procede tentando di evitare acrobaticamente le pozze del torrente o più coraggiosamente affrontando in acqua le facili cascatelle. Fino all’ultimo tratto obbligato che costringe ad un emozionante passaggio in un lago costretto in un corridoio roccioso largo non più di un metro.