SARDEGNA OUTBACK: di 3 giorni nel Supramonte, avventura nelle montagne tra Cala Sisine e Cala Luna

GIORNO 2

….poi sparisce e di nuovo silenzio ed immobilità. Il canto si ripete e ci culla e ci accompagna fino a mattina. Al risveglio la brezza è continua e leggera. Il sonno è finito perché è arrivata la luce e perché le membra hanno riposato quanto basta. Vedo tirarsi su dai sacchi i tre compagni che ho di fronte. Le loro facce assonnate si riempiono della luce del sole tenue del mattino. E’ evidente il loro stato di incredula soddisfazione per essersi svegliati qui.
Il fuoco. Il primo desiderio è quello di avere una fiamma che sancisca l’esistenza di un campo, di un insediamento che, per quanto limitato nel tempo, accoglie vita, sensazioni, parole. Stamani solo tronchi secchi di ginepro, un incenso degno della sacralità del luogo. L’essenza è sparsa dal vento a profumare tutta la nostra attrezzatura. Scaldiamo un po’ di caffè, latte e the con qualche biscotto o barretta e poi alle 9 dopo avere smontato il campo, zaini in spalla e ripartenza. Sono meno pesanti ora, i maledetti. Se ne sono andati 3 litri d’acqua tra il cammino di ieri, la cena e la colazione e forse un altro kg di cibo. Il cibo pesa poco, tutto sommato. La frutta e la verdura fanno eccezione. Ma in questo tipo di esperienze si avverte netta la richiesta di cibi freschi. Si sente chiaramente la carenza ed il bisogno di sali e vitamine.
Facciamo i conti con l’acqua che ci è rimasta. Avevamo dai 4 ai 5 litri ciascuno alla partenza, ora qualcuno ha solo 1 litro e ci dovrà bastare fino a metà pomeriggio. Tra le ore 14 e le 15 arriveremo infatti alla sorgente Sa Ena e lì potremo riempire. La giornata si rivela subito calda ed arriveremo precisi con le nostre scorte alla preziosa fonte, benché oggi la giornata sia fisicamente meno impegnativa: meno distanza e tutta a scendere. La discesa dell’ampio vallone ci presenta quasi subito due risalti di roccia che ad un occhio poco abituato potrebbero sembrare non superabili. Basta individuare la linea debole che si nasconde nella parete e piccoli appoggi ed appigli diventano un’evidente scalinata che ci lascia passare. In un bel tratto di bosco una piccola macchia di colore mi fa sussultare. Erano ormai alcuni anni che non passavo di qui, ma nello stesso punto di sempre l’ultima peonia selvatica di una piccola famiglia ha ancora tutti i suoi sgargianti petali. Una ritardataria, le altre hanno ormai tutta la loro corolla a terra.
La valle tende ora a restringersi, gli alberi si diradano, le pareti si avvicinano, la gola progressivamente si incunea in un imbuto roccioso dove dominano la scena alcuni esemplari maestosi di tasso. Qui ci troviamo davanti un’imponente parete rocciosa in cui è aperta una grande “V” che si affaccia in un salto di diverse decine di metri. Sotto di noi una conca gigantesca di ghiaione. Più lontano si spiega un arco di roccia ciclopico: il foro sarà circa 30 metri di diametro e la parete che lo sovrasta almeno 60.
Da questa strettoia sembra impossibile proseguire ma sulla parete destra ci sono alcune “scale fustes”, tronchi sapientemente appoggiati dai pastori. Fino a pochi decenni fa uomini straordinari ed infaticabili frequentavano queste montagne e si muovevano in questo territorio con una padronanza dell’equilibrio e dell’arrampicata da far invidia ai moderni alpinisti. I tronchi, di ginepro, non hanno minimamente accusato la permanenza di decenni all’acqua ed al sole e , come mi disse un giovane pastore, “ffossili ssono”.
Seguendo vaghe tracce di vecchi passaggi e questi semplici e confortanti manufatti, proseguiamo in alcuni passaggi delicati fino ad arrivare ad una larga cengia che seguiremo per un paio di km. Siamo sulla mitica Istrada Longa una cengia lunga un paio di chilometri, una terrazza che taglia orizzontalmente tutte le più strapiombanti pareti di destra del Bacu Addas. Questo passaggio sospeso in alcuni punti è tanto ampio da accogliere piccoli boschetti. Gradualmente però si restringe, le piante divengono sempre più rade e rimane solo la roccia. Si arriva ad una piega da cui si può ammirare l’ultimo stupefacente tratto: 200m di passaggio, nei punti più agevoli largo sì e no 1 metro, in altri stretto come un cornicione appeso a metà di una parete alta 150m. Da qui sembra impossibile dover passare da quella minuscola linea appena accennata, un filo a metà di un mare verticale di calcare. Dopo un ultimo breve tratto di bosco arriviamo all’attacco. Questa parte deve essere affrontata con grande attenzione ed alcuni passi regalano un’emozione adrenalinica. La mitica Istrada longa è lì davanti e ci aspetta. L’affaccio da questo esclusivo balcone ripaga della fatica fatta per arrivare fin qui. Il fondo della gola è almeno 70 metri sotto di noi ed altrettanti ne abbiamo di parete che ci strapiomba sopra le teste. L’attenzione deve essere soprattutto rivolta all’ingombro dello zaino che se mal gestito potrebbe impigliarsi nella parete che aggetta sulle nostre teste. Noi siamo in ombra ma la parete opposta del bacu ci sfila davanti illuminata dal sole: ammiriamo le belle pareti grigie e rosse in cui coraggiosi cespugli sono andati ad abbarbicarsi. Sul fondo s’arcada s’orruargiu, l’arco gigantesco, domina la scena. Non tutti ce la fanno ad ammirare il panorama, perché profondamente concentrati sui passaggi, ma non importa: una volta che sei stato qui, di sicuro ci tornerai ed allora osserverai di più. Usciti da questo tratto, una sciata su un ghiaione perfetto ci porta sul fondo del bacu. Pochi metri di progressione ed un altro salto di roccia ci sbarra la strada. Ma ancora una volta i pastori ci hanno lasciato in eredità un ardito passaggio segreto, su Marinau. Dunque ci arrampichiamo su altre “scale fustes” fino ad arrivare alti sulla parete destra della gola. Trovando passaggi tra la macchia e la roccia siamo di nuovo su una cengia, questa volta meno esposta, e più larga di Istrada Longa, ma con delle piccole pareti da scendere: un paio di punti delicati in cui bisogna derampicare usando anche le mani. Usciti dal tratto più impegnativo un ripido sentiero ci deposita in breve sul fondo della gola. L’ambiente ora, per quanto sempre grandioso con pareti imponenti sopra di noi, è comunque più rassicurante. Passiamo davanti ad una enorme grotta e poi, sul lato sinistro della gola, la tanto attesa Sa Ena, la vena, una provvidenziale sorgente. Il gocciolamento di questo prezioso dono è veramente molto tenue. Riusciamo comunque ad intercettare una quantità sufficiente di liquido inserendo un piccolo tubo nella fessura della roccia. Così siamo in grado di riempire una bottiglia da 1 litro ogni 3-4 minuti. Con le borracce piene possiamo rilassarci, mangiare qualcosa con calma e riposarci un po’. Qui c’è un bel prato verde, il primo posto da ieri mattina che rivela una bellezza morbida ed accogliente. Ci lasciamo ospitare da questo angolo per quasi 2 ore. Ripartiamo e dopo altre 2 ore di marcia relativamente semplice arriviamo al rifugio Sisine. Qui ci attende una doccia, una cena ed un letto. A cena ci sistemano in una magnifica pinnetta (rifugio di pastori) restaurata. Perfino i 2 vegetariani del gruppo mangiano pesce e maiale: richiedere un menù vegetariano ad un pastore di Baunei sarebbe come chiedere un filetto a casa di un indù. Tutto è buonissimo, ma anche una pasta all’olio stasera ci sarebbe sembrata una prelibatezza. Una piccolissima ma accogliente stanzina con 3 letti a castello è la nostra camera.