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5 CHILOMETRI parte 1

Discesa integrale del Flumineddu e arrampicata nelle gole di Gorropu

In quella parte di Sardegna in cui si incontrano i comuni di Urzulei, Dorgali e Orgosolo si distende un territorio affascinante e sperduto: quasi 400kmq di calcare che dal mare arrivano ai graniti dell’interno. Una antichissima barriera corallina che pare creata per soddisfare le voglie arrampicatorie, le imprese torrentistiche e le curiosità speleologiche di tutti gli amanti dell’avventura. Questa distesa di roccia e foreste è martoriata da centinaia di gole e canyon che separano guglie, archi e montagne.
Le gole di Gorropu, Hodula Manna in orgolese, ovvero la Grande forra, è la regina di queste ferite, la parte centrale del selvaggio Supramonte, il suo cuore essenziale. Un canyon scavato dall’apparentemente insignificante Flumineddu che per tutto il suo percorso segna il confine tra i comuni di Orgosolo e Urzulei.
Un torrente che per la maggior parte del suo corso e dell’anno mostra il suo alveo asciutto di rocce calcinate. Questo aspetto muta velocemente quando le piogge, convogliate da un vastissimo bacino idrografico, trasformano questa valle silenziosa in una enorme condotta forzata per una massa di acqua e detriti dall’incredibile potenziale erosivo. Ecco come in ere geologiche si è formato quello che viene, non so con quanta esattezza, definito il canyon più grande d’Europa.

Nell’aprile 2006 con una squadra di 6 partecipanti, composta tra l’altro da Adele e Bernardo di 11 e 9 anni, decidemmo di affrontare la discesa integrale del Flumineddu, dalla cosidetta ansa ad “U” fino allo sbocco delle gole di Gorropu nella Valle di Oddoene.

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Lo sbocco a valle delle gole di Gorropu

Mancava in quella squadra mio figlio maggiore Ludovico. Da allora con entrambi i miei ragazzi abbiamo effettuato molte altre piccole imprese e grandi avventure e la loro esperienza e capacità di muoversi in ambiente e in situazioni non ordinarie è aumentata. Con Ludovico poi, le nostre passioni hanno trovato luogo d’incontro anche in campo lavorativo.
Ma quella discesa del Flumineddu è rimasta, per molti motivi, un’impresa memorabile. Pochissime notizie in rete trovate allora e nessuna guida cartacea, il gruppo numeroso con alcuni membri con scarsa o nulla esperienza, la giovanissima età dei due partecipanti.
Il grande assente, Ludovico appunto, da molto tempo aveva voglia di recuperare quei giorni narrati con epica casareccia alla fine di ogni ritrovo conviviale con gli altri componenti di quel gruppo.

All’inizio di giungno 2022, un incastro di date ha regalato ad un ventinovenne e a un cinquantasettenne, padre e figlio ormai coppia consolidata di avventure, la possibilità di recuperare quel lungo fine settimana di 16 anni fa.
Navigando in rete è stato evidente che le notizie reperibili, rispetto a quella prima discesa, non sono aumentate. Fortunatamente, aggiungo. E’ giusto che esperienze di questo tipo rimangano connotate da una forte nota incognita e da un senso di abbadono e di solitudine già nella preparazione del viaggio, che poi troverà una rispondenza nei recessi remoti di quel piccolo universo: 5 chilometri di meandri che inghiottono chi li percorre, in una avventura che condensa trekking, canyoning, speleologia e arrampicata.

Logistica

Il piccolo Benedetto non ha niente del fisico di suo padre. Giuseppe è massiccio e i cinque anni del figlio non hanno ancora iniziato a depositare dure fibre intorno alle braccia e alle gambe che, allampanate, sembrano lunghissime. Ma gli occhi di pece guizzanti e un po’ timidi, sono gli stessi: voragini che parlano. Ludovico ed io, alti uguale, ci discostiamo di pochi chili e quelli con cui mi lui sopravanza disegnano spalle più larghe e un petto più pieno. Se non fosse per i 28 anni di differenza durante i quali ho messo rughe e capelli bianchi, potremmo essere fratelli.
La coppia sarda lascia il pick up nel quale ci aspettavano in un parcheggio di Dorgali e dico a Giuseppe di mettersi alla guida del nostro furgone così, penso io, può prendere pratica con me accanto coll’inusuale freno di stazionamento a piede e coi comandi duri e datati del vecchio Mercedes Vito.
Ma appena prende il comando della guida è evidente che non ha bisogno di questo riguardo: la retromarcia entra subito, la frizione lavora senza stonare nell’accellerazione che il giovane sardo capisce subito dover accompagnare con pazienza. E’ abituato ad ogni sorta di macchine agricole e mezzi meccanici, è nel suo mondo.
Il suo mondo ci vorrebbe far credere che è anche quello delle pieghe del Supramonte ma lì subito comincia a zoppicare. Basta entrare un minimo nei particolari e l’affanno è evidente. Non avrebbe nessuna necessità di prodigarsi a enumerare pochi dettagli, forse gli unici che conosce, dei passaggi millenari segreti e dei siti nuragici meno noti.
Non abbiamo intenzione di mettere alla prova le sue conoscenze, ma l’orgoglio e l’attaccamento alla sua terra e ai segreti che custodisce, gli scatena una parlantina che non fa che aumentare i nostri dubbi sulle sue lacune. La sua competenza però non importa e non ci serve: sappiamo bene dove ci deve portare e ad ogni bivio con qualche strategemma preveniamo i suoi dubbi, facendo in modo di indicargli la strada senza scalfire il suo onore.

La SS125 è il presidio umano più evidente tra Dorgali e Urzulei. Unica vera strada che taglia da Nord a Sud centinaia di chilometri quadrati di montagne tra il Mediterraneo e la Barbagia. Ricorda la civiltà solo per il suo manto asfaltato. Siamo immersi in distese disarticolate di roccia e dove il calcare è meno severo una macchia impenetrabile prende il sopravvento su gole e pareti.
Quando dopo una buona mezz’ora arriviamo a Genna Croce il conto delle auto incrociate si fa con una mano.
La nostra deviazione è un ardito taglio nel fianco franoso di un costone. Le misere tracce di asfalto pieno di buche e gli inutili guard rail sfondati da macigni grandi come comodini, aumentano il senso di isolamento. Quando dopo poco il tracciato aggira il bastione e si apre su Planu Campu Oddeu divenendo sterrato, la strada entra in sintonia col circostante, tralasciando quei miseri resti di bitume e acciaio.

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Planu campu oddeu. Al centro la sterrata che taglia l’altipiano

La nuvola di polvere che alziamo è un minuscolo pennacchio che si sposta in questo altipiano che, sebbene drammaticamente isolato, è percorso da animali al pascolo. I mille metri di altitudine a pochi chilometri in linea d’aria dal mare, regalano ancora erba verde e fresca in questo caldissimo inizio di giugno.
Lasciata questa distesa rassicurante e guadata la parte alta della Codula Orbisi, entriamo in una foresta originaria di leccio, uno dei lembi di quest’isola passati incolumi alle scuri neolitiche e alle asce romane. Procediamo ora a passo d’uomo in una mulattiera sconnessa che scende andando a cercare i punti deboli della montagna, fino ad arrivare a Campos Bargios.
E’ difficile credere che qualcuno abbia ancora voglia di arrivare qui ogni giorno da Urzulei per mungere le poche capre costrette in una costante ricerca acrobatica di cibo. Eppure un pastore è qui che traffica con le sue cose e ci dedica un solo istante per uno sguardo e un saluto.
Questo storico ovile è un punto di riferimento per chi vuole effettuare la discesa torrentistica di Orbisi o di Gorropu. Da qui procedendo a Nord si può entrare nell’uno o nell’altro canyon e discenderne le loro parti più frequentate e acquatiche con una muta e un equipaggiamento leggero. Tuffi, nuotate, qualche discesa in corda doppia e in poche ore si completa un anello ludico e fresco.
Noi invece ci siamo fatti accompagnare qui per un altro tipo di itinerario e quella parte torrentistica affrontata dai più rappresenta solo la parte finale della discesa di tutto il tratto inforrato del Flumineddu.
Abbiamo previsto 2 giorni per la discesa della gola, fino ad arrivare alla parte turistica. Questa, ancora più a valle di quella torrentistica, può essere risalita dal basso con difficoltà escursionistiche in un paio d’ore. In questo modo quasi chiunque può arrivare fino ai piedi di una cascata che segna l’inizio (o la fine per chi scende) del tratto tecnico.
Appunto in questo snodo, dunque ormai fuori dalle difficoltà esplorative, affronteremo il terzo giorno l’attacco di una via sportiva di 7 tiri, 330 metri di sviluppo. Il grado è basso, con passaggi di massimo 5c+, ma la logistica e l’isolamento sono due elementi che alzano la percezione di difficoltà.
Da questa via, con altri due compagni, siamo stati respinti nel settembre 2018. Al terzo tiro dovemmo riscendere, pagando il prezzo di aver attaccato troppo tardi e essendo stati troppo lenti con la cordata a tre.

Materiale

Questo doppio obiettivo (discesa integrale della gola e salita della via) implica una notevole quantità di materiale da doversi portare dietro, potendo solo poca dell’attrezzatura tecnica avere la duplice funzione sia da canyoning che da arrampicata.

 materiale zaino
Materiale

Il materiale tecnico comune è:

una mezza corda da 50 metri

una mezza da 30 metri

30 metri di sagola da 4mm

10 rinvii

canotto

Il materiale tecnico personale è:

imbracatura

scarpette

magnesite

casco

cordini e daisy chain

discensore

moschettoni a ghiera

Infine ognuno di noi ha doppio materassino, sacco a pelo, un minimo di vestiario di ricambio e un paio di scarpe di emergenza, attrezzatura per riparazioni e pronto soccorso, cibo e stoviglie, fornello pirolitico, lampada frontale, 2,5l di acqua. Un filtro potabilizzatore ci permetterà di arrivare ai 18/20 litri totali che useremo nei tre giorni.

Peso e spazio. Ingombro e organizzazione. Cosa mettere e dove. Dilemmi degli zaini per spedizioni di più giorni. Cibo tecnico e leggero o concedere qualcosa al piacere di mangiare, aggiungendo piatti, fornello e tegami? Il gusto dei sali minerali e vitamine di frutta e verdura fresca o meglio non rischiare di ritrovarsi una marmellata nel sacco a pelo? Godersi abiti puliti nelle ore di riposo al campo o puntare invece sul doppio materassino?
Queste sono le domande che assillano nei giorni di preparazione. E spesso succede che dopo aver ponderato tutti i pro e i contro ed essere arrivati ad una ponderata e razionale decisione, una sensazione dell’ultimo momento ti porta a scombinare tutta l’architettura.
Sia quel che sia, per tre giorni in autonomia è difficile scendere sotto i 20kg, impossibile sotto i 15. A scanso di equivoci siamo io a 26 e Ludovico a 22. Durante la discesa diversi di questi chili diventeranno intercambiabili. Il materiale tecnico comune stivato nel mio zaino verrà tirato fuori e sarà trasportato indifferentemente a seconda di chi farà una determinata parte di lavoro.

 zaino carico
Zaino da 60l. impacchettato con 26kg

Le parti più laboriose della discesa saranno quelle in cui troveremo l’alveo allagato. A causa della conformazione delle pareti, rese lisce dall’erosione delle piene, queste pozze solo raramente possono essere bypassate nei loro fianchi con tratti di arrampicata. E’ perciò necessario, per mantenere il materiale asciutto, ricorrere a traghettamenti con un piccolo canotto. Le dimensioni del natante e le difficoltà ad entrarvi e uscirne in spazi stretti e scivolosi, suggeriscono quasi sempre di non imbarcarsi con i pesanti zaini. Dunque ad ogni attraversamento la procedura è la seguente.
-Uno dei due attraversa la pozza col canotto portandosi un capo della sagola e lasciando l’altro alla partenza.
-Arrivato sull’altra sponda, il compagno recupera con il suo capo della sagola il canotto nel quale imbarca gli zaini.
-Questi dunque sono traghettati dal primo col suo capo di sagola e scaricati.
-Infine recuperato di nuovo il canotto, il secondo si imbarca e traghetta.
La procedura è laboriosa ma tutto sommato semplice in condizioni ideali che ovviamente non sono quasi mai tutte presenti contemporaneamente, complicando il tutto.
Le manovre possono essere in spazi angusti o scivolosi; gli imbarchi possono essere alla fine di una calata con la corda o in presenza di una cascata e gli approdi sul bordo di una piscina sospesa; i laghi possono avere tratti in cui sassi affioranti rischiano di lacerare il canotto oppure avere anse in cui trainarlo con la sagola rischierebbe di farlo capovolgere; infine alcune pozze possono avere animali morti e in putrefazione. Succede dunque che in alcuni tratti per procedere di poche decine di metri ci vogliano ore, con un lavoro estenuante.

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Traghettamento in condizioni quasi ideali: alla fine di questa pozza lo sbarco avverrà sul bordo di una cascata.

Avvicinamento

Pochi minuti per organizzare le ultimissime cose nei nostri zaini e ricontrollare mentalmente tutto. Poi Giuseppe e Benedetto risalgono sul nostro furgone.
“Se non ci vedi dopodomani entro le 18, c’è qualche problema” gli diciamo.
Lo guardiamo girare e ripartire attento lungo la strada fatta per arrivare fin qua e riportare il nostro mezzo all’attacco del sentiero turistico dove lo recupereremo a fine giro.
Sentiamo ancora per qualche minuto il motore che si allontana lento e monocorde sulle note di una seconda non sforzata. Inutile sarebbe tirarla per ingranare una terza che avrebbe un canto breve.

Togliamo ogni segnale dai telefoni, per i prossimi giorni inservibili se non come macchine fotografiche e blocchi da appunti, e ci carichiamo gli zaini in spalla. Fardelli che tutto sommato sulle spalle sono meno peggio di quello che sembrano appena si sollevano da terra. Ore 10,45.

Procediamo brevemente su quello che sarebbe il prosieguo della strada percorsa fin qui, fino a deviare a sinistra su una traccia. Ancora poche centinaia di metri e passiamo accanto ad un capanno in muratura. Sotto la piccola tettoia arrangiata le ombre di due persone sedute ci salutano con insolita indifferenza. Ci sorprendiamo di una mano alzata e di un mugugno indecifrabile, abituati come siamo al calore amichevole del Supramonte. Chiunque con poca esperienza di questa parte di Sardegna si potrebbe porre una sfilza di domande riguardo a quelle presenze. Domande che forse qualche decennio fa avrebbero avuto una risposta che De Andrè ha magistralmente raccontato.
Ma oggi cosa ci fanno qui questi uomini?
Questi uomini e i loro avi hanno sempre percorso i recessi più lontani di quest’isola che è un continente. Da sempre sono fuggiti dal mare e solo qui si sono sempre sentiti a casa.
I fenici, i romani, i pisani, i genovesi, i piemontesi, i mori, i pirati, tutti venivano qui e pretendevano di fare i loro comodi. Questa terra è solo dei sardi, e di tutti loro. L’altissima percentuale di terre mantenute ad uso civico nei comuni della Provincia di Nuoro ne è una testimonianza. Sono a casa qui come lo sono per le vie dei paesi.

Passiamo tra la piccola spelonca e un fuoristrada malconcio, chiaramente avvezzo a questo ambiente, proseguendo su tracce di sentiero sempre più flebili. Neppure gli ometti di pietre segnano il percorso, ora piuttosto obbligato dentro un impluvio inizialmente appena accennato e via via più definito.
Con la certezza che questo ci porti senza ulteriori dubbi dentro l’alveo del Flumineddu avanziamo fin sull’orlo di un colatoio terroso ed instabile, non percorribile.
Sul bordo roccioso ci spostiamo verso sinistra e non lontano troviamo una diramazione dell’impluvio più accessibile che ci deposita dentro la gola attraverso un punto debole della sua sponda destra.
Ore 11,30.

L’ingresso nella gola e l’inizio della discesa delle gole del Flumineddu continuano domani…